Quando immaginiamo una cattura, a seconda della preda e del tipo di pesca, saremo attratti da un fattore in particolare, che sia il momento dello strike con la frizione che parte a razzo in altura o a drifting, oppure l’attacco in top water a spinning, così come la ferrata ad un attacco violento a jigging, e via discorrendo… Ma tutte le tecniche hanno qualcosa in comune, quell’attimo, quasi sacro, in cui libereremo la preda dall’insidia dell’amo, che segnerà necessariamente la fine del combattimento.
Un pomeriggio, passeggiando con mio figlio di 6 anni sul lungomare della mia città, la mia attenzione cadde su un pescatore in lontananza impegnato in un combattimento con una canna fissa. Dalla curva della canna, il pesce sembrava essere interessante, così iniziai a segnalare l’avvenimento a mio figlio, per incuriosirlo, indicandogli la canna da pesca piegata. Mi avvicinavo convinto di arrivare a gioco ormai finito con il pesce già nel secchio, ma il combattimento non sembrava terminare… così mi resi conto che il pescatore, un signore molto anziano, si trovava in difficoltà nel gestire la situazione. Arrivato vicino a lui, vidi che con la mano destra reggeva la canna per tenere il pesce a galla, e con la sinistra impugnava un lungo guadino che però non riusciva a sollevare per direzionarlo verso la preda. Mi offrii di aiutarlo con il guadino, ma lui gentilmente mi chiese di reggergli la canna… voleva guadinare lui. Così feci, e lo aiutai a portare a carniere la sua preda, una salpa dalle dimensioni davvero generose. Iniziai a mostrare le caratteristiche fisiche e della livrea a mio figlio, spiegandogli qualche curiosità sul comportamento delle salpe, e mi accorsi che l’anziano pescatore si trovava nuovamente in difficoltà, questa volta nella fase di slamatura. Pensando di essere ormai in amicizia, mi offrii nuovamente di aiutarlo sfilando dalla tasca la mia pinza Leatherman che porto sempre con me. Stavolta però la risposta fu negativa: quel momento era tutto per lui e doveva riuscirci da solo. Era lì, fiero, che maneggiava la sua preda con religiosa concentrazione, godendosi gli ultimi momenti prima di metterla da parte.
E d’altronde non importa la dimensione della preda, o se tu l’abbia pescata con attrezzatura da migliaia di euro o con una canna fissa, vuoi goderti ogni attimo di quel combattimento, soprattutto quei momenti in cui sei così vicino ed il pesce è fermo, da poterne osservare perfettamente le caratteristiche fisiche, che resteranno per sempre impresse nella memoria.
In foto una aguglia imperiale catturata con un Jet Monkey.
Ognuno con il proprio carattere
Stavolta non parliamo del carattere dell’anziano pescatore, ma di quello dei pesci. Non tutte le specie, infatti, si comportano allo stesso modo, sia durante il combattimento che nelle fasi finali.
Prendiamo ad esempio un tunnide e un dentice: mentre il primo una volta issato a bordo sembra più una mitraglietta impazzita che un pesce, il secondo a parte qualche scatto di vitalità di tanto in tanto, resterà per lo più fermo dando così la possibilità di “operare” con calma. Chiaramente il discorso si allarga ancora di più coinvolgendo le altre specie, come i rostrati, i serranidi come le spigole e le cernie, o altri pelagici come le lampughe, passando per gli squali. Ognuno di questi pesci ha il suo modo di comportarsi, che implica quindi anche un nostro approccio completamente diverso per poterli slamare in tutta sicurezza per noi e per i pesci, nel caso in cui volessimo effettuare il C&R.
Con i tunnidi infatti, è quasi improponibile l’idea di issarli a bordo per slamarli nel pozzetto, se poi la nostra intenzione sarà rilasciarli: rischierebbero di ferirsi facilmente dibattendosi con una certa intensità. Molto meglio allora lasciare il pesce in acqua, rinunciando ad una foto tra le mani, e slamarlo direttamente fuori bordo. Con i rostrati, invece, che ricevono il trauma maggiore proprio nel momento in cui vengono afferrati per il rostro, scuotendo la testa prima di calmarsi, si potrebbe anche azzardare il tentativo di issarli a bordo per una foto ricordo… ma se vogliamo essere davvero certi della loro sopravvivenza, sarà preferibile slamarli in acqua senza afferrarli dal rostro. I serranidi, così come gli sparidi ed altri predatori del sottocosta e non, una volta giunti a distanza ravvicinata con il pescatore hanno una reazione abbastanza pacata, lasciando ampio spazio alle manovre di slamatura, facendo però attenzione a quei picchi di energia in cui il pesce si dibatte per qualche secondo, sufficiente a ferirci con un amo o una spina.
In foto una cattura con l'Albacore Tube.
Gli aiuti per il pescatore
Dando per scontato il fatto che a mani nude non bisognerebbe mai tentare di slamare un pesce, possiamo avvalerci di numerosi attrezzi a supporto del pescatore in quelle ultime fasi delicate. Può sembrare scontato, ma una semplice pinza a becco lungo e sottile, potrà risultare quanto mai importante e fondamentale per poter estrarre un amo dalla bocca di un qualsiasi pesce, scongiurando il pericolo morsi o punture da parte di altri eventuali ami. Un altro importantissimo e fidato compagno è il boga grip: ne esistono di tante dimensioni, in base alla preda stessa, ma in tutti i casi aiuta a mantenere fermo il pesce, tenendolo dalla mascella, così da poter operare liberamente sempre con l’ausilio della pinza di cui sopra per estrarre gli ami conficcati. Lo stesso boga grip risulterà utile anche nelle fasi di ossigenazione del pesce per un eventuale rilascio. Un buon paio di guanti, invece, risulterà fondamentale per afferrare i rostrati dalla spada e trattenerli il più saldamente possibile durante la classica sfuriata iniziale. Una volta calmati, sarà sempre nostra cura liberarli il prima possibile dall’amo e rilasciarli procedendo a motore per una ossigenazione efficiente. Per le prede più pericolose, invece, uno slamatore a T d’acciaio ci permetterà di raggiungere l’amo, agganciarlo e filarlo, restando con le mani a debita distanza, scongiurando il pericolo morsi. E’ il caso, questo, degli squali, imprevedibili e intelligenti, che ci metterebbero davvero poco ad azzannare la mano del pescatore incauto.
Quando non è nostra intenzione rilasciare
Se è vero che, nell’effettuare il catch and release, dovremo metterci tutta l’attenzione possibile per salvaguardare la salute del pesce per rilasciarlo in perfetto stato, per le prede che intenderemo trattenere, sarà nostro interesse evitare incidenti a bordo e porre fine alle sofferenze del pesce il prima possibile. A tale scopo entra in gioco un altro attrezzo che non dovrebbe mai mancare a bordo di un fisherman: l’annoccatore. Ne esistono di appositamente realizzati, ma spesso vengono riciclate mazze da baseball, bastoni di legno, e chi più ne ha più ne metta. Non è nostra intenzione voler essere “cruenti”, ma siamo pescatori, ed una preda ogni tanto dobbiamo pur portarla a casa per una cena tra amici… meglio allora se agendo in totale sicurezza.
In foto una cattura con il cube.